Più di cent’anni fa il filosofo tedesco, Nietzsche, scriveva che il male che avrebbe afflitto l’uomo nei successivi due secoli sarebbe stato il “nichilismo”, ossia la perdita di ideali: gli uomini avrebbero smesso di credere nei valori morali con cui l’umanità era cresciuta. La radice del nichilismo consiste, come noto, nella “morte di Dio”. Un Dio morto non solo nell’anima del filosofo, ma anche nell’anima di molti uomini del suo tempo. Nietzsche è stato il primo pensatore che ha compreso e messo in chiaro questo evento e, allo stesso tempo, anche la portata epocale che avrebbe avuto, senza precedenti nella storia. Tuttavia, Nietzsche non aveva previsto l’abisso in cui l’uomo nichilista sarebbe precipitato.

Era convinto che l’uomo forte – il superuomo – era quello capace di decidere in totale libertà, e per questo andava esaltato, preso a modello;  viceversa considerava debole – e per questo soggetto a fallimenti terreni – l’uomo piegato alle imposizioni di Dio, schiavo di una morale della debolezza e della compassione.
Oggi, infatti, ancora più che in passato, il nichilismo non nega solamente ideali e valori a livello dottrinale e teorico, ma li nega anche a livello pratico. Il nichilista vuole il nulla e cerca di metterlo in pratica in tempi e in modi ignoti nel passato. Nega il valore della vita, sia la propria, che quella degli altri, e crede di poter costruire, edificare, solo mediante l’annichilamento, la distruzione, la morte.
Camus, nella sua celebre opera L’uomo in rivolta, spiegava che la “rivolta”, intesa in senso morale e metafisico, è un moto comportamentale dell’uomo, una forza creativa che cerca di porre rimedio ai vari aspetti difficili della vita, cerca di comprenderla e di amarla anche nei suoi aspetti negativi. Ma precisava che proprio questa forza creativa della rivolta viene distrutta dal nichilismo e scriveva: “Non è la rivolta a risplendere oggi nel mondo, né la sua nobiltà, ma il nichilismo”.
Ed e proprio questo che si rivela nell’atroce tragedia di OsloUtoya, in Norvegia, e nelle varie azioni terroristiche che accadono anche in questi ultimi tempi, ossia la più totale assurdità di cercare con la morte – e nella morte – la soluzione dei problemi della vita.
Questo è ciò che alcune persone di peso politico e religioso avevano pensato di fare nei confronti di un personaggio scomodo,  più di duemila anni fa: Gesù Cristo. Pensavano che, uccidendo Gesù Cristo, sarebbero svaniti tutti i suoi seguaci e con essi i problemi di governabilità. Però accadde qualcosa che non avevano calcolato: attraverso la sua crocifissione, Cristo riuscì a vincere la morte, risuscitando e tornando in vita. Lui ha annichilito se stesso e nessun altro. Ha dato la propria vita come sacrificio vivente, per dare al genere umano la possibilità di redimersi e risolvere il grande dilemma dell’immortalità. Perciò ha affermato queste parole: “Io sono la via, la verità, e la vita. Chi crede in me non perirà, ma avrà vita eterna” .

La cosa triste, in queste circostanze atroci che accompagnano la nostra società moderna, nonostante tutto, continua ad ignorare la persona e l’operato di Cristo. Per questo mi viene alla mente un aforisma di Nicolas Gomez Devila che mi sembra contenga un’illuminante verità: “Il più grande errore moderno non è l’annuncio della morte di Dio, ma l’essersi persuasi della morte del diavolo”.